◊◊◊ La prima parte dell'introduzione ci aveva lasciato alle porte dello studio del profetismo. In questa seconda parte ci siamo confrontati con esso, scoprendo che non è affatto un fenomeno esclusivo del popolo di Israele. Tuttavia, il profetismo biblico presenta tratti specifici che emergeranno sia qui che nelle restanti sezioni dell'introduzione.
[i] Il profetismo nel Medio Oriente Antico
◊ Il profetismo, cioè, l'esistenza di personaggi che si presentano come portavoci delle diverse divinità, è diffuso nel Medio Oriente Antico. Le testimonianze esistenti sembrano privilegiare un tipo di profetismo professionale, spesso collegato con il sacerdozio e con la divinazione tecnica. Non mancano però gli esempi di un profetismo carismatico, intuitivo, estatico, nel quale l'iniziativa viene attribuita alla divinità. L'esempio più noto è quello trovato in una cinquantina di lettere degli archivi regali di Mari, città del nord della Mesopotamia (XVIII sec. a.C.).
◊ Da una parte, i punti in comune fra le testimonianze epigrafiche e l'immagine del profetismo attorno al re e al tempio sono chiari. Allo stesso tempo, tale tipo di profetismo e in certo modo "declassato" nella narrativa biblica: i profeti che non fanno che dire belle cose al re sono sospetti (cfr. 1Re 22).
◊ Da un'altra, non esiste finora nessuna traccia di qualcosa che assomigli all'alto livello di conflittualità che il profetismo biblico presenta nei confronti della leadership politica e religiosa. E nemmeno c'è riscontro nel Medio Oriente Antico di un interesse per il destino della collettività (il popolo), caratteristica cruciale del profetismo biblico.
◊ Finalmente, le forme scritte derivate dal profetismo in Israele sono assai più complesse delle mere raccolte oracolari che si trovano nello stesso contesto storico-culturale.
[ii] Profeti nell'AT: terminologia
◊ Il termine ebraico proprio per il profeta è נביא nabîˀ. Oltre quel termine si trovano anche:
- איש אלהים ˀîš ˀelohîm "uomo di Dio" (75x nella Bibbia Ebraica, 55x nei Libri dei Re). Titolo onorifico applicato 29 volte a Eliseo e 7 a Elia (il seguente in classifica è Mosè con 6 volte).
- ראה roˀê e חזה ḥozê, participi di due verbi che significano vedere. Il primo — derivato dal comunissimo verbo "vedere" — appare 11 volte e 7 si applica a Samuele. Il secondo appare 16 volte, 10 nei Libri delle Cronache, ed è derivato da una radice usata spesso per designare le "visioni". Tale radice viene impiegata nel primo versetto dei libri di Isaia, Amos, Michea, Naum, Abdia e Abacuc.
◊ Per quello che riguarda נביא nabîˀ (attorno a 300x nella Bibbia Ebraica), si osserva che fa riferimento a un'attività che riguarda sempre la divinità (anche "altri dei": profeti di Baal); non necessariamente positiva (ci sono critiche ai profeti); che è anche svolta da donne (Miriam, Debora, Culda…); che può manifestarsi in fenomeni associativi (i "figli dei profeti"). Ci sono anche allusioni agli estasi profetici (perdita di controllo di sé: cfr. 1Sam 18,10).
[iii] Verso una definizione di profeta
◊ L'utilizzo del termine ψευδοπροφητής "falso profeta" nella tradizione biblica in lingua greca, come una possibile traduzione dell'ebraico nabîˀ, consiglia distinguere due indirizzi di senso nel concetto:
- Ebraico biblico נביא: presunto portavoce della divinità.
- Greco biblico προφητής (LXX e NT): portavoce di Dio.
◊ Nel secondo caso è possibile anche distinguere due accezioni:
- In senso generico, chiunque parla in nome di Dio merita di essere chiamato profeta: Mosè, Miriam, Aronne, Debora, anche Gesù, Giovanni Battista…
- In senso specifico-storico, si annoverano fra i profeti personaggi situati nel periodo che va dall'inizio della monarchia in Israele fino al ritorno dell'esilio. Il primo dell'elenco sarebbe – con qualche sfumatura – Samuele, e l'ultimo… Malachia? Vedremo più avanti.